sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: LIVIO BORGHI

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.




Livio Borghi:  La  genesi

Da alcuni anni a questa parte lo Spazio Espositivo Torre Colombera di Gorla Maggiore in provincia di Varese ha organizzato una serie di mostre personali e rassegne di grande interesse culturale come quella organizzata recentemente dal titolo: “Genesi, la natura tra rivelazione e scoperta” dedicata al pittore Livio Borghi, ospitata presso le splendide stanze di questa magnifica torre medioevale. Innanzitutto dobbiamo rilevare il rapporto molto forte che Livio Borghi ha con la natura; non una natura osservata alla maniera di Monet, a rivelata da tracce di senso che ingranditi evidenziano un paesaggio nuovo, carico di essenze nascoste. Una natura improntata alla rivelazione e alla scoperta. Questa  necessità primordiale di dipingere ancora la natura, spinge l’artista varesino a depositare brandelli di fogli colorati nel paesaggio, lasciando che il tempo agisca alterando i colori ed evidenziando tracce particolari che l’artista successivamente ingrandisce. Nel secolo passato molti artisti usavano uscire dallo studio per recarsi a conoscere meglio la natura, tentando di immergersi dentro il paesaggio; non solo con gli occhi ma con tutto il corpo, allo scopo di definire una nuova e possibile visione. Livio Borghi a differenza di tanti altri artisti della sua generazione, preferisce “disseminare” le sue superfici preparate di colore a tempera dentro il paesaggio; quasi una sorta di cartina di tornasole, seguendo le leggi della natura, le variazioni del tempo e gli eventi naturali, con una sapienza senza limite, facendo nascere dalla terra, dall’acqua e dall’aria, in questo rapporto intimo e nello stesso tempo nuovo, le sue “genesi”. Di certo, Borghi ha bisogno che la natura liberi le sue strategie allo scopo di evidenziare le lente ma continue  e sofferte variazioni del colore, che si definiscono a poco a poco, come possibili immagini di un nuovo paesaggio. La natura, alla fine,  diventa l’elemento prioritario e catalizzatore di nuove nascoste scoperte. Stefani Barile, presentandolo in catalogo, definisce Livio Borghi l’artista contemporaneo che non rappresenta più colui che produce un’opera d’arte, ma ricopre il ruolo di mediatore tra la realizzazione di un’idea (la sua) e colui che la osserva. Egli si fa promotore di un “vissuto”, diventa regista di un evento unico, altamente creativo, al quale tutti possono partecipare e nel quale ognuno rimane appassionatamente coinvolto. Lascia alla storia dell’arte il dominio dell’artista sulla realtà “scelta” per farsi “umile osservatore” degli eventi e delle manifestazioni della natura. E, raccogliendone le silenziose rivelazione e ritrovandone le tracce in frammenti di “vita primordiale”, scopre il paesaggio. Non quello che tutti vedono, non quello che tutti quotidianamente vivono, ma quello che ognuno ha dentro di sé, nel labirinto della propria immaginazione, ora finalmente godibile nelle suggestive sfumature della pittura. 

Pubblicato su  Dialogo  n° 148  -  maggio/agosto,  1997     Anno XX            pag. 25